Hai mai fatto caso a quante domande rivolgi alla tua bambina o al tuo bambino in una sola giornata?
“Biscotti o fette? Gonna o pantaloni? Vuoi andare dai nonni o inviti un amico? Pasta lunga o corta? Andiamo a nanna?
L’elenco è lungo. L’abitudine a rivolgersi ai nostri figli in forma interrogativa si insinua fin da quando sono neonati. La forma affermativa è più o meno scomparsa con la generazione dei genitori nati nel dopo-guerra quelli ancora del “o mangi sta minestra o salti la finestra!”, salvo rigurgiti dittatorialmente esclamativi quando siamo allo stremo delle nostre forze. Allora, da amorevoli fornitori di valide alternative, passiamo alla polarità opposta venendo posseduti dalla potenza del punto esclamativo: “mangi questo e basta storie!” ; “adesso a nanna!” ; “chiudi quel maledetto tablet!” ecc.
Ma, immediatamente dopo, come tornati in noi eccoci ritrasformati in punti interrogativi antropomorfi: “facciamo la pace?”;“scusami la mamma è nervosa… pasta lunga o corta?”
É la dittatura del “punto interrogativo”, alla quale il “punto esclamativo” si ribella con blitz occasionali ma intanto, al pacato e fermo “punto a capo” abbiamo fatto il funerale.
Perché siamo posseduti/e dalla forma interrogativa? Stiamo vivendo il passaggio dalla famiglia normativa (quella del “è così perché lo dico io” ) alla
famiglia affettiva (quella del “hai capito il perché te lo sto dicendo?” ) e certamente non è un cambiamento semplice. Messo in discussione l’autoritarismo facciamo fatica a sostituirlo con l’autorevolezza. In questo mare aperto educativo lasciar scegliere alle bambine e ai bambini molti aspetti della quotidianità può sembrare una modalità democratica ma, a volte, si rivela una deriva.
Come ci sentiamo quando dobbiamo operare una scelta? Per Kierkegaard “il sentimento della possibilità è l’angoscia, ovvero la vertigine della libertà alla base di ogni scelta”.
Se deleghiamo la scelta su troppe cose, di fronte alle sollecitazioni incalzanti la bambina o il bambino potrebbe provare angoscia e mancanza del limite, frustrante ma al tempo stesso protettivo.
Fare dunque attenzione alla punteggiatura potrebbe forse semplificare le cose anche ai genitori? Proviamo a fare questo esperimento: osserviamo quante volte usiamo la forma interrogativa con i nostri figli. Facciamo attenzione al tipo di domande che poniamo; mantieniamo quelle autentiche o significative (per le quali esiste una risposta vera); nelle altre proviamo a sostituire il punto interrogativo con il punto a capo. Come ci si sente cambiando modalità comunicativa? Per esempio, se ritieni sia l’orario per mettere a letto tuo figlio/a e ti accorgi che lo comunichi usando la forma interrogativa, ‘Andiamo a nanna?’, potresti cambiare modalità comunicativa e usare il punto: ‘E’ ora che tu vada a nanna’. Essere autorevoli non equivale a ottenere obbedienza istantanea poiché l’obbedienza è la cifra dell’autoritarismo, mentre la coerenza è la cifra dell’autorevolezza. Tanto più i figli/le figlie sono piccoli/e tanto più la coerenza con la punteggiatura li aiuterà a capire cosa stiamo dicendo loro. Eviteremo così forme ambivalenti e loro saranno tranquillizzati dal non dover scegliere in continuazione.
Un antico detto cinese recita: “Il miglior amico del fiume sono i suoi argini’. Cosa succederebbe se gli argini chiedessero sempre al fiume da che parte vuole andare?”.
Dr.ssa Rita Greta Rombolotti
Studio Helda – Consulenza pedagogica e Counseling